sabato 28 marzo 2020


La benedizione mai data da un Pontefice«Signore, svegliati e vieni a salvarci»









Nella Chiesa ai tempi del coronavirus sono i parroci che celebrano, soli, la messa in diretta web, mentre il Papa va a piedi nel centro di Roma in quarantena a pregare, a nome di tutti, davanti al crocifisso «miracoloso». È il Pontefice che in una piazza San Pietro deserta e piovosa esordisce manifestando come «ci siamo ritrovati impauriti e smarriti», e implora Dio di «non lasciarci in balia della tempesta». «Svegliati Signore! Salvaci!», grida Francesco, richiamando il passo del Vangelo in cui i discepoli sono atterriti dalla burrasca e Gesù dorme. E poi dà la speciale benedizione Urbi et Orbi, sì, quella di Natale e Pasqua, a cui in genere assistiamo distrattamente con i calici in mano davanti a tavole imbandite. E concede anche l’indulgenza plenaria, per i cristiani una grazia straordinaria che «guarisce» completamente l’uomo. La Chiesa ai tempi del covid-19 è l’arcivescovo di Milano che sale sul tetto del Duomo per supplicare protezione alla «Madunina», mentre in centinaia di paesini o grandi città si fanno o rinnovano voti ai santi patroni per invocare la salvezza, come non avveniva dai tempi della guerra. O della peste. Scene in mondovisione o in streaming che entrano nella storia, planetaria e locale. Mentre, chissà, magari chi è costretto a casa dall’isolamento di massa, di fronte al proprio parroco su YouTube, o alle immagini del Papa a piedi in via del Corso che incrocia l’incredulità di un ciclista, riscopre barlumi di una fede più profonda. O si cimenta in una meditazione intima sul mistero di Dio. Sul senso dell’esistenza e di quello che facciamo – o facevamo – ogni giorno. Sulla vulnerabilità umana, via inevitabile per la vita eterna. Dove, assicurano i sacerdoti, sarà solo felicità. Condivisa, altro concetto diventato così prezioso in questi giorni di solitudini. Tante parrocchie che si stavano svuotando stanno raggiungendo molte più persone in queste settimane di «fitte tenebre che si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città», come ha detto il Papa. Un po’ è il tempo a disposizione degli «utenti», un po’ la disperazione che spinge ad aggrapparsi a Dio. Gli uomini di Chiesa potranno fare tesoro di questo potenziale slancio – forzato ma tangibile – di spiritualità, magari dissimulata, ma di cui si sta sentendo un bisogno inedito. Lo ha percepito monsignor Mario Delpini, solitamente riservato, salito in cima al duomo con un foglietto di carta per «compiere un gesto di risonanza pubblica, in modo che nessuno si senta solo». Mentre la pandemia spaventa e chiude in casa il pianeta, c’è una Chiesa che esce dalle sacrestie, usa con meno sufficienza le nuove tecnologie e compie gesti eclatanti ma sinceri, dall’alto valore simbolico, anche per chi non crede, e si impegna ad avere una presenza più costante e confortante nel quotidiano – oggi angosciato – delle persone. Di questo, di vicinanza, ha bisogno la gente. E di segni forti come l’apertura delle strutture di molte diocesi per ospitare famiglie povere, con parrocchie che si accollano anche il pagamento degli alberghi per i pazienti dimessi, per liberare posti. «Ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme», ha detto ieri sera Francesco. È il tempo «di reimpostare la rotta della vita verso Dio e verso gli altri». Basandola su un punto che può unire tutti, credenti e non: «La speranza, che mai delude».
by Domenico Agasso jr IL SECOLO XIX

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